Cosa significa esattamente essere malati di mente, e quali – se esistono – sono i legami tra un soggetto psichiatrico e uno criminale?
Nel Seicento ci fu un primo approccio clinico alla materia e una sistematica suddivisione dei malati per categorie, ma fu poi nel secolo successivo che si fecero i primi veri progressi, e grazie all’illuminismo molti comportamenti iniziarono a essere curati con criterio scientifico abbandonando l’idea della possessione demoniaca e la superstizione.
Fu in questo secolo, tra l’altro, che si incominciò a praticare la psicoterapia, respingendo il punto di vista somatico come causa di certi disturbi. Furono anche creati i primi asili per gli alienati, da cui derivarono i manicomi, nel nostro Paese attivi fino ad alcuni decenni fa.
Ieri come oggi molti assassini, seriali e non, sono affetti dalle più svariate patologie psichiatriche, che quasi sempre giocano un ruolo importante nelle motivazioni che li spingono a commettere i loro crimini (anche se ciò non significa che chi è affetto dallo stesso tipo di disturbi commetta necessariamente reati violenti).
La mostra dedicata a questi aspetti ripercorre un secolo e mezzo di storia della psichiatria e della criminalità, dai primi studi della scuola lombrosiana alle apparecchiature utilizzate per il trattamento dei pazienti tra Ottocento e Novecento. È anche l’occasione per analizzare i delitti di noti criminali psichicamente instabili, tra i quali Charles Manson e la sua convinzione di essere la reincarnazione del Messia, Ed Gein e la sua morbosa passione per la madre defunta (al quale si sono ispirati i film “Psycho”, “The Texas chain saw massacre” e “Il silenzio degli innocenti”), Issei Sagawa e il suo irrefrenabile istinto cannibale, Anatoly Moskvin e la sua perversa passione nell’arredare casa con bambole umane realizzate con i cadaveri di adolescenti.