Per anni la reclusione carceraria e manicomiale hanno favorito – e tuttora favoriscono – la produzione di scritti, dipinti, sculture, e svariati manufatti a opera di detenuti e ricoverati.
Uno degli elementi che di rado si pensa possa essersi sviluppato negli ambienti di profonda sofferenza mentale è l’arte.
Il suo ingresso è avvenuto per il crescente interesse degli psichiatri del XIX secolo verso la spontaneità con cui i malati davano forma alle proprie immagini mentali e ai propri deliri esprimendoli con il disegno, la pittura, la musica, la recitazione. Da queste circostanze ha avuto origine il binomio arte e follia che, prima di perdere interesse clinico per diventare uno stereotipo letterario, indicava il tentativo di trovare delle corrispondenze tra i sintomi delle patologie psichiatriche e i segni e le figure prodotti dai malati nelle loro opere.
Discorso simile vale per la detenzione carceraria, dove l’arte ha il potere di attutire gli impatti psicologici della reclusione, che dovrebbero essere minimizzati o eliminati per rendere più efficaci gli sforzi per la riabilitazione. Fare arte migliora la regolazione emotiva, la salute psicologica e il benessere mentale.
La mostra offre la più ampia raccolta esistente al mondo di lettere autografe e disegni di serial killer americani. Realizzati in cella e destinati ad amici e parenti, gli scritti affrontano i temi più disparati, e offrono a chi legge la possibilità di valutare gli aspetti umani e caratteriali e conoscere i pensieri degli assassini più spietati.
L’esposizione include anche interessanti opere di pazienti psichiatrici, rientranti nella corrente artistica della cosiddetta “art brut”, testimoni di un profondo messaggio di disperazione e sconforto vissuto nella solitudine della segregazione.